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mercoledì 3 giugno 2020

SICULOAMERICANI E MAFIA A NEW YORK




I primi siciliani sbarcarono a New York già alla fine XVII secolo. Esploratori, missionari o gente in cerca di fortuna, lasciava la propria terra d'origine. Non siamo ancora di fronte ad un fenomeno di massa, come poi accadrà con l'emigrazione siciliana negli Stati Uniti a partire dal 1880, la cui crescente intensità condurrà fuori dalla propria terra più di un milione di persone.

Il fenomeno migratorio diverrà di massa tra la fine dell’800 e l'inizio del '900, quando povera gente e delinquenti in fuga, lasciavano l'isola alla volta del Nord America.


Cosa attraeva dell'America?

Il commercio di agrumi tra Palermo e New York aveva creato un canale di comunicazione e scambio di informazione tra chi risiedeva nell'isola e chi si era avventurato nel nuovo mondo. I sogni di facile arricchimento e di facilità di opportunità, o di sfuggire dalla legge italiana, creava delle aspettative, spesso mitologiche, su quella che era "l'american life style". Tra i migranti, infatti, numerosi erano i criminali siciliani che cercavano una fuga. Ciò, purtroppo, fu semplificato anche dalla facilità con cui si poteva accedere a documenti falsi dai quali venivano cancellati tutti i reati penali. Non mancò la connivenza delle autorità, compiacenti di liberarsi di delinquenti di difficile gestione nella nascente e precaria Italia unificata. Pian piano, povera gente e criminali di tutte le gerarchie si avvicendavano per le strade di New York, ma non solo. 

Quando si arrivava nella "terra promessa", emergeva subito il disorientamento di vivere in un luogo affatto diverso da quello originario. La vita nella grande metropoli, la difficoltà di imparare la lingua e di inserirsi nel contesto lavorativo, spingeva molti siciliani ad affidarsi al "boss" di quartiere loro conterraneo. Così non solo i già decretati criminali, ma anche lavoratori onesti erano costretti a subire le conseguenza di scambio di favori con la criminalità, pur di sopravvivere. Un onesto e disperato emigrante, così, si trovava spesso costretto a partecipare a quel clima d’illegalità che sommergeva i sobborghi di New York.

La migrazione in America, inoltre, era un fonte cospicua di guadagno per la stessa Mafia. La gestione dei prestiti per l'acquisto del costoso biglietto e il sostegno dell'occupazione non appena approdati, rendevano i siciliani non malavitosi schiavi dello stesso sistema che vigeva nell'isola: il clientelismo e l'usura. Molti impegnavano le proprie terre per pagare il biglietto della traversata e, se non fossero riusciti a saldare il debito all'arrivo, le loro proprietà finivano nella mani della Mafia.

Cosa Nostra

La Mafia siciliana da New York (Manhattan e Brooklyn) si diffuse anche a Pittsburgh, Chicago, Kansas City e San Francisco, e per espandere i propri traffici, specie nelle rotte portuali con Palermo, si scontrarono con altre organizzazioni criminali. Un esempio è quello della mafia irlandese, a cui i siciliani si sono sostituiti nella gestione dei traffici del porto di New York.

                                      

Nella sua prima fase di colonizzazione, la Mafia americana era una "costola" di quella siciliana e da questa dipendente.

 Con il passare del tempo, i figli dei primi boss, pienamente americanizzati, si dissociarono pian piano dall'organizzazione originaria, creando una sintesi particolare nel mondo della criminalità. Sebbene in Italia sono ai siciliani era concesso di accedere alle "cupole", le più potenti famiglie mafiose degli Stati Uniti accolsero elementi non siciliani, come campani e calabresi. Altra differenza con la "madre patria" era la gestione degli affari. Il tessuto economico americano, molto differente da quello italiano, dava prospettive di guadagno impensabili. Dalla gestione della prostituzione al gioco d'azzardo, la Mafia oltre oceano prendeva una strada tutta sua, al punto che un palermitano di Lercara Friddi, Salvatore Lucania, noto come Lucky Luciano, diede un nome all'organizzazione mafiosa ristrutturata: Cosa Nostra.

martedì 26 maggio 2020

Lucky Luciano, la Mafia e lo sbarco in Sicilia



La decisione di sbarcare in Sicilia fu presa durante la conferenza di Casablanca nel gennaio 1943. Sebbene gli americani fossero all’inizio perplessi, il primo ministro britannico Churchill era convinto che per vincere, fosse necessario colpire il “ventre molle dell’Asse”, cioè l’Italia.

L’Operazione Husky avrebbe dato avvio alla cosiddetta Campagna d’Italia, che avrebbe prodotto la caduta del fascismo e l’uscita dell’Italia dalla guerra. Fu proprio quello che avvenne: dopo due settimane dallo sbarco, il 25 luglio Mussolini fu messo in minoranza dal Gran Consiglio del Fascismo, destituito e arrestato. Inizia il “governo dei quarantacinque giorni” di Badoglio, che finirà l’8 settembre 1943, giorno in cui Badoglio rende pubblico l’armistizio di Cassibile firmato il 3 settembre.

È vero che la Mafia ha giocato un ruolo importante nell’organizzazione dello sbarco in Sicilia?

Molti storici tendono a negare che la Mafia, sul piano propriamente militare, abbia dato particolari contributi. (Si leggano i valori di Mangiameli, Renda e Lupo).                          

Se un ruolo la Mafia l’abbia mai avuto, questo va ricercato nella fase posteriore allo sbarco, al momento di organizzare l’amministrazione provvisoria dell’isola prima di riconsegnarla al governo italiano defascistizzato. Molti boss mafiosi furono nominati sindaci, ma spesso, non appena scoperta la loro fedina penale, furono destituiti dai loro incarichi. Forse era più la Mafia e beneficiare dell’intervento americano che il contrario. I soldati delle divisioni Assietta e Aosta, infatti, furono obbligati dai mafiosi alla diserzione, per evitare conseguenze spiacevoli per loro e le loro famiglie. 

Non dobbiamo dimenticare che durante il fascismo, la Mafia siciliana aveva subito un duro colpo. Il prefetto di Trapani Cesare Mori, detto il “prefetto di ferro”, aveva sradicato buona parte dell’establishment mafioso, costringendo a emigrare chi era sfuggito agli arresti.

                                    

In prima battuta la “logica” del coinvolgimento mafioso reggerebbe, poiché i mafiosi hanno interessi a far cadere il fascismo, governo opprimente e centralizzato che non permette di gestire in tranquillità i loro affari. Inoltre, gli americani probabilmente erano ben consapevoli dell’avversione mafiosa verso il comunismo, dunque avere sull’isola un “alleato” anticomunista era un grosso vantaggio.

In realtà, però, tutto poggia su miti che non hanno un comprovato riscontro documentale. 

Quello che Lucky Luciano fece, invece, fu altra cosa. Già dall’inizio della guerra, anche prima dell’ingresso degli Usa, dal porto di New York partivano i rifornimenti per la Gran Bretagna. Il porto della Grande Mela, che era sotto il controllo della Mafia siculo – americana, era spesso al centro di sabotaggi, incendi, di “manovre sinistre”, controllata da una rete di spionaggio che rappresentava un’amministrazione ombra che era in grado addirittura di influenzare i sindacati degli operatori portuali. Fu allora che i Servizi Segreti contattarono un ergastolano di nome Lucky Luciano.


 L’accordo con il boss palermitano aveva l’obiettivo di evitare sabotaggi che avrebbero compromesso l’invio di materiale bellico. In cambio, chiaramente, era in ballo lo sconto della pena. In verità, lo scompiglio era provocato dalla Mafia stessa, allo scopo di ottenere la negoziazione delle pene dei boss incarcerati.

In effetti, a guerra finita, molti boss mafiosi, tra i quali lo stesso Luciano, furono scarcerati ed estradati. Lucky Luciano finì i suoi giorni in Italia, vivendo tra Napoli, Roma e Palermo.

lunedì 25 maggio 2020

Origine della parola Mafia



Sebbene la parola mafia sia stata sempre diffusa in Sicilia e utilizzata con significati polisemici, la sua origine etimologica rimane avvolta nel mistero. 

Esistono tante proposte di genealogica semantica, eccone alcune:

Dall'arabo: 
1. mu'afak: protezione dei deboli
2. mahyas: millanteria e spacconeria
3. maha: cava (luogo segreto di riunione dei primi mafiosi)
4. màhfil: adunanza
5. ma afir: tribù che aveva dominato Palermo nel periodo saraceno

Dal Toscano: 
maffia: miseria e ostentazione vistosa, spocchia

Dal piemontese
mafiun: uomo malfatto, rustico, rozzo, che non parla e non risponde. 

 

  Luigi Capuana e Giuseppe Pitré sostenevano che la parola era già in uso a Palermo prima del 1863, con il significato di bellezza e orgoglio.

Nessuna di queste interpretazioni prevale in maniera decisa.

Il termine acquista la sua valenza negativa, anche al di fuori della Sicilia, a partire dal 1863, quando diventa sinonimo di criminalità siciliana. In quell'anno, l'opera teatrale di Giuseppe Rizzotto "I mafiusi di la Vicaria", mette in scena il modo in cui i carcerati del Vicaria di Palermo si organizzano e si comportano. Emergono gli elementi che poi faranno parte dell'organizzazione criminale, come il capo, i "picciotti" e il "pizzo".

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