I primi siciliani sbarcarono a New York già alla fine XVII secolo. Esploratori, missionari o gente in cerca di fortuna, lasciava la propria terra d'origine. Non siamo ancora di fronte ad un fenomeno di massa, come poi accadrà con l'emigrazione siciliana negli Stati Uniti a partire dal 1880, la cui crescente intensità condurrà fuori dalla propria terra più di un milione di persone.
Il fenomeno migratorio diverrà di massa tra la fine dell’800 e l'inizio del '900, quando povera gente e delinquenti in fuga, lasciavano l'isola alla volta del Nord America.
Cosa attraeva dell'America?
Il commercio di agrumi tra Palermo e New York aveva creato un canale di comunicazione e scambio di informazione tra chi risiedeva nell'isola e chi si era avventurato nel nuovo mondo. I sogni di facile arricchimento e di facilità di opportunità, o di sfuggire dalla legge italiana, creava delle aspettative, spesso mitologiche, su quella che era "l'american life style". Tra i migranti, infatti, numerosi erano i criminali siciliani che cercavano una fuga. Ciò, purtroppo, fu semplificato anche dalla facilità con cui si poteva accedere a documenti falsi dai quali venivano cancellati tutti i reati penali. Non mancò la connivenza delle autorità, compiacenti di liberarsi di delinquenti di difficile gestione nella nascente e precaria Italia unificata. Pian piano, povera gente e criminali di tutte le gerarchie si avvicendavano per le strade di New York, ma non solo.
Quando si arrivava nella "terra promessa", emergeva subito il disorientamento di vivere in un luogo affatto diverso da quello originario. La vita nella grande metropoli, la difficoltà di imparare la lingua e di inserirsi nel contesto lavorativo, spingeva molti siciliani ad affidarsi al "boss" di quartiere loro conterraneo. Così non solo i già decretati criminali, ma anche lavoratori onesti erano costretti a subire le conseguenza di scambio di favori con la criminalità, pur di sopravvivere. Un onesto e disperato emigrante, così, si trovava spesso costretto a partecipare a quel clima d’illegalità che sommergeva i sobborghi di New York.
La migrazione in America, inoltre, era un fonte cospicua di guadagno per la stessa Mafia. La gestione dei prestiti per l'acquisto del costoso biglietto e il sostegno dell'occupazione non appena approdati, rendevano i siciliani non malavitosi schiavi dello stesso sistema che vigeva nell'isola: il clientelismo e l'usura. Molti impegnavano le proprie terre per pagare il biglietto della traversata e, se non fossero riusciti a saldare il debito all'arrivo, le loro proprietà finivano nella mani della Mafia.
Cosa Nostra
La Mafia siciliana da New York (Manhattan e Brooklyn) si diffuse anche a Pittsburgh, Chicago, Kansas City e San Francisco, e per espandere i propri traffici, specie nelle rotte portuali con Palermo, si scontrarono con altre organizzazioni criminali. Un esempio è quello della mafia irlandese, a cui i siciliani si sono sostituiti nella gestione dei traffici del porto di New York.
Nella sua prima fase di colonizzazione, la Mafia americana era una "costola" di quella siciliana e da questa dipendente.
Con il passare del tempo, i figli dei primi boss, pienamente americanizzati, si dissociarono pian piano dall'organizzazione originaria, creando una sintesi particolare nel mondo della criminalità. Sebbene in Italia sono ai siciliani era concesso di accedere alle "cupole", le più potenti famiglie mafiose degli Stati Uniti accolsero elementi non siciliani, come campani e calabresi. Altra differenza con la "madre patria" era la gestione degli affari. Il tessuto economico americano, molto differente da quello italiano, dava prospettive di guadagno impensabili. Dalla gestione della prostituzione al gioco d'azzardo, la Mafia oltre oceano prendeva una strada tutta sua, al punto che un palermitano di Lercara Friddi, Salvatore Lucania, noto come Lucky Luciano, diede un nome all'organizzazione mafiosa ristrutturata: Cosa Nostra.
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