domenica 31 maggio 2020

Emigrazione siciliana negli USA

Emigrazione siciliana in Tunisia

Le avverse condizioni economiche e l’assenza di prospettive future, sono all’origine del fenomeno migratorio siciliano. All’indomani della piemontesizzazione dell’isola nel 1861, la meta privilegiata seguiva la rotta del nascente e spontaneo colonialismo italiano, cioè il nord Africa, specialmente la Tunisia. La facilità di acquistare terra a prezzi vantaggiosi e l’introduzione della tassa sul macinato del 1868, prospettavano l’emigrazione come unica soluzione alla miseria. 

                                                       

Emigrazione siciliana negli USA



A partite dal 1885, il popolo siciliano cominciò a guardare oltre atlantico, verso la terra promessa cui erano destinati buona parte dei cittadini italiani in cerca di fortuna. Sebbene non fossero i primi italiani a guardare agli Stati Uniti, a partire dal 1900, e per i primi 12-13 anni, l’emigrazione siciliana toccò il picco di 1.200.000 emigrati. Con l’avvento del Ventennio fascista, l’ondata migratoria diminuì, ma non appena di concluse il secondo conflitto mondiale, i numeri tornarono a salire. Perché gli USA? Se la Tunisia, come detto prima, presentava vantaggi per un’economia ancora agricola, gli USA avevano “fame di manodopera”. Insomma, si andava a vendere la propria forza lavoro nella speranza di partecipare del sogno americano.



Gli effetti economici

Come in ogni fenomeno migratorio, l’economia risente fortemente del calo della forza lavoro, della produttività e della domanda. Ciononostante, nei primi anni del Novecento, il gran numero di emigrati fu bilanciato da un boom delle nascite. L’emigrazione negli USA, però, produsse anche alcuni vantaggi. In primo luogo, le famiglie siciliane stabilitesi nel nuovo mondo, erano solite mandare dollari ai parenti rimasti nell’isola. Queste sono le famose “rimesse”, flussi di denaro, di una moneta forte, che innalzava il tenore di vita di alcuni siciliani e sosteneva il loro potere d’acquisto. Inoltre, molti siciliani tornati a casa con il denaro guadagnato in America, poterono acquistare le terre, innalzando lievemente il tenore di vita della classe contadina. Ciò, però, non generò alcuna rivoluzione in seno all’economia agricola.

Il viaggio
Dai porti di Palermo, Messina e Napoli, stipati nei “ferri botti” in condizioni igieniche disagevoli, spesso famiglie intere partivano alla volta del nuovo mondo. 

Se gli emigrati erano proprio coloro che vessavano nella miseria più totale, come pagavano il costoso biglietto? 

Un sistema di agenti – i “boss del lavoro” - dediti al business dell’emigrazione si occupava di fornire prestiti agli indigenti, con l’obbligo, appena arrivati negli USA, di firmare un contratto che obbligava a rimborsare quanto prestato.

Ellis Island


Dopo una traversata che poteva impiegare anche fino a quattro settimane, si approdava a Ellis Island, l’isola delle lacrime, l’isolotto vicino Manhattan dove i migranti erano censiti e “smistati”.

Ellis Island


L’emigrazione siciliana oggi

Il “Rapporto Italiani nel Mondo” della Fondazione Migrantes ci prospetta una situazione che non tende a mutare. I siciliani, da soli, rappresentano più del 14% del totale dell’emigrazione italiana all’estero, conquistando il primato di prima regione per fenomeni emigratori. Città come Palermo e Catania, hanno visto una perdita di popolazione rispettivamente di poco più di trentamila e ventimila unità. Il dato è confermato dall’Istat, le cui stime ci dicono che ogni anno emigrano in media circa 10 o 20 mila siciliani, per un totale di 200.000 negli ultimi cinquant’anni. Seguendo il trend attuale, intorno al 2060-2070 circa un milione di persone lasceranno l’isola, “smistandosi” nelle altre regioni italiane o all’estero. Con prevedibili – disastrose? - conseguenze economiche per l’isola.

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